Tra le attività umane classificate come “inquinanti” vi è anche l’allevamento di bovini e la ragione principale risiede nel fatto che i ruminanti liberano nell’ambiente il metano prodotto dai meccanismi fisiologici della digestione.
Alcuni esperti, però, sostengono che l’accusa mossa al settore zootecnico sia sproporzionata rispetto alle reali responsabilità ecologiche, non solo perché gli allevamenti bovini contribuiscono solo in minima parte alla produzione di gas serra, ma anche perché non considera che i ruminanti sono animali d’allevamento con elevate prospettive di sostenibilità ambientale, in quanto potrebbero nutrirsi prevalentemente di alimenti (foraggi e sottoprodotti) non competitivi con quelli dell’uomo.
Per misurare la quantità di metano emessa dai bovini si utilizzano differenti dispositivi di monitoraggio; un esempio è rappresentato da “GreenFeed”, un alimentatore high-tech automatizzato dotato di una cappa aspirante e 18 sensori che, mentre il bovino mastica, raccoglie in tempo reale i dati relativi alle sue emissioni di metano e CO2.
Alcuni test, condotti in laboratorio e in grandi aziende lattiero-casearie, hanno dimostrato che i bovini negli allevamenti sono responsabili solo del 5-6% delle emissioni antropiche di metano, ma anche che il tipo di foraggi e mangimi somministrati agli animali hanno un ruolo chiave nel determinarne i livelli.
Partendo da questi presupposti, quindi, numerosi ricercatori si sono messi all’opera per cercare soluzioni volte a rendere quest’attività più sostenibile intervenendo soprattutto sui mangimi destinati all’alimentazione in stalla, allo scopo di ridurre il metano che si genera come sottoprodotto della digestione dei bovini.
Secondo alcuni studi, contenere la produzione enterica e l’emissione di metano consentirebbe di perseguire un doppio obiettivo: limitare l’impatto del settore sull’ambiente e massimizzare l’efficienza nutritiva dei mangimi, aumentando fino al 6-8% la quantità di energia assunta dagli animali e migliorandone le performance produttive.
Per raggiungere tali risultati, gli studiosi hanno vagliato l’utilità di diverse molecole di origine naturale e sintetica che, aggiunte ai mangimi per bovini, sono in grado di contribuire ad abbassare i livelli di metano nel rumine; tra gli additivi testati (inclusi oli essenziali, tannini, grassi, alghe marine), il più efficace si è rivelato il 3-nitroossipropanolo (3NOP) che, secondo i risultati pubblicati dai ricercatori della Penn State University, sarebbe in grado di ridurre le emissioni di metano del 25-30% in sole 12 settimane.
Questo composto organico, solubile e rapidamente metabolizzabile, agisce come inibitore dell’enzima metil coenzima M reduttasi (MCR), cruciale nella fase finale della metanogenesi ruminale; se aggiunto nell’alimentazione dei bovini, ha la capacità di limitare la formazione di questo gas nel rumine degli animali senza conseguenze sulla loro salute, sul sapore della carne, né sulla produzione o sulla qualità di latte e formaggi.
La sperimentazione del 3-nitroossipropanolo è iniziata nel 2014 nell’ambito dell’alimentazione delle pecore, ma solo recenti studi hanno permesso di valutare appieno l’efficacia di quest’additivo; in particolare, i ricercatori statunitensi hanno testato gli effetti della somministrazione di varie dosi di 3NOP (da 40 a 200 mg/kg di sostanza secca ingerita) addizionate al mangime di 49 bovine ospitate presso il Dairy Teaching and Research Center, dimostrando come, a seconda della concentrazione, questa sostanza consente una riduzione delle emissioni di CH4 fino al 40% senza effetti collaterali. Per questo, dopo essere stato approvato in Cile e Brasile, il 3NOP ha ottenuto il via libera anche dall’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) e dall’Unione Europea, che ne ha autorizzato la commercializzazione nel continente.
Sono inoltre in corso diverse sperimentazioni volte a ridurre l’impatto ambientale dei sottoprodotti del metabolismo bovino (inclusi ossido nitroso N2O e ammoniaca NH3).
Alcuni studi, per esempio, sostengono che, programmando con attenzione la vaccinazione dei vitelli e ottimizzando la loro alimentazione fin dallo svezzamento, sarebbe possibile correggere le fermentazioni del rumine e favorire, nella loro saliva, la produzione di anticorpi che sopprimono i microrganismi metanogeni.
Per ridurre le altre cause di inquinamento (in particolare da CO2) connesso alla produzione di carne e latte, aziende e istituzioni stanno facendo fronte comune, mettendo in campo iniziative e strategie condivise.
Un esempio è rappresentato dal progetto “Life Beef Carbon”, nato con l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 15% in dieci anni attraverso una migliore gestione delle stalle, una più razionale distribuzione delle razioni alimentari e delle deiezioni animali, l’ottimizzazione dei consumi energetici e l’applicazione di metodi per il sequestro di carbonio efficaci ed efficienti: i risultati hanno superato le aspettative, tanto che l’impatto degli allevamenti italiani partecipanti allo studio si è ridotto dell’11% in 5 anni.