L’ISPRA sostiene che la principale causa di spreco alimentare sia la sovrapproduzione di eccedenze e afferma che, in Italia, per ristabilire condizioni di sicurezza alimentare, gli sprechi complessivi dovrebbero essere ridotti di almeno il 25 percento degli attuali.
Lo spreco alimentare genera effetti socio-economici e ambientali molto significativi: ad esso sono associate emissioni di gas-serra per circa 3,3 miliardi di tonnellate (Gt) di anidride carbonica (CO2), pari a oltre il 7 percento delle emissioni totali.
Secondo la FAO, circa un terzo del cibo commestibile globale e’ perso o sprecato e il 56 percento dello spreco si concentra nei paesi industrializzati, mentre il restante 44 percento in quelli in via di sviluppo.
Se il livello di spreco dovesse rimanere costante, si legge nel rapporto, la produzione e la distribuzione di cibo dovra’ aumentare del 50 percento per soddisfare la crescente domanda di cibo legata alle dinamiche demografiche (10 miliardi di persone entro il 2050).
Questo si potra’ verificare aumentando la produzione per unita’ di superficie e la superficie stessa delle aree coltivate, a scapito del capitale naturale e dei benefici offerti dalla natura.
Dai risultati emerge che per garantire la tutela ambientale e’ necessario puntare su un uso responsabile del consumo di suolo, sull’inversione dell’abbandono di aree rurali e sulla riconversione della produzione, favorendo l’agroecologia (scienza che applica i principi dell’ecologia alla pianificazione e gestione dei sistemi agricoli) e altri metodi estensivi, tra cui l’agricoltura biologica.
Per questo e’ fondamentale, in parallelo, ridurre lo spreco alimentare nelle due varie forme, comprese la sovralimentazione, gli usi non alimentari del cibo e le perdite nette nell’alimentazione degli allevamenti animali.
Quest’ultima e’ la componente maggiore di spreco, rappresentando circa il 40 percento di tutta la produzione commestibile da cui derivano i consumi alimentari in Italia.