La recente accelerazione dell’inquinamento da microplastiche ha aumentato la necessità di sviluppare nuovi strumenti di collaborazione per problemi sinergici che interessano gli ecosistemi costieri e oceanici. Uno degli ostacoli principali è la mancanza di informazioni standardizzate, comparabili e integrate sull’inquinamento da plastica di piccole dimensioni (micro e nano), compresa la loro abbondanza, le fonti, i punti caldi regionali di accumulo, la frammentazione e il trasporto nell’area di transizione costiera.
Il progetto i-plastic, finanziato da JPI Oceans e realizzato da un consorzio multisciplinare di esperti europei e brasiliani provenienti da cinque istituti e quattro paesi, di cui l’Università del Salento è il partner italiano, ha indagato il destino delle microplastiche (da 5 mm a 1 µm) e delle nanoplastiche (sotto 1 µm) dalla terra al mare, in regimi di flusso e climatici distinti, e la loro dispersione nell’oceano aperto.
I ricercatori italiani di UniSa hanno anche avuto la responsabilità di tre dei workpackage in cui è stato suddiviso tutto il progetto ovvero: quello sullo studio degli effetti delle plastiche sul biota marino; quello sugli studi dei processi di frammentazione delle plastiche in ambiente marino tramite la tecnica di spettroscopia fotoelettronica a raggi X (XPS); quello sulla caratterizzazione delle nanoplastiche.
“Nel progetto si sono approfondite le conoscenze di base relative a microplastiche e nanoplastiche, a cui si è aggiunto lo sviluppo di nuovi protocolli di caratterizzazione e determinazione di questi materiali, valutandone anche il bioaccumulo in alcune specie marine”, spiega Sergio Rossi, a capo del primo workpackage – e tutte queste informazioni sono essenziali per capire il loro ruolo negli ecosistemi e sulla salute delle specie viventi. D’altra parte, abbiamo cercato soluzioni reali, come l’utilizzo di specie biorimediatori tra cui spugne, ascidie e policheti specialmente in zone impattate come il Mar Grande di Taranto. Il ruolo dell’Università del Salento è stato decisivo e ha rafforzato ancora di più la sua rilevanza internazionale con un progetto che dimostra quanto è importante la cooperazione tra gruppi di lavoro diversi”.
I risultati principali del progetto I-plastic si sono concentrati sul ruolo del sistema fiume estuario nell’inquinamento da plastiche degli oceani con i suoi potenziali impatti. Trattandosi di uno degli habitat naturali più produttivi nel mondo, ciò rappresenta una seria minaccia per le specie acquatiche e per la salute umana. Altro importante risultato è stata la messa a punto di un metodo innovativo per la determinazione quantitativa delle nanoplastiche in organismi, i cui risultati sono in via di pubblicazione sulla rivista Communications Earth & Environment della serie Nature.
Sono stati raccolti in un documento che elenca 10 informazioni a disposizione di scienziati, divulgatori scientifici e consulenti in materia di politiche scientifiche per elaborare strumenti per la risoluzione del problema:
- gli estuari sono i principali punti di accumulo di microplastiche;
- l’inquinamento da microplastiche è ubiquitario negli estuari e nelle aree costiere adiacenti;
- la concentrazione di microplastiche negli estuari è determinata dallo sviluppo urbano;
- la distribuzione delle microplastiche negli estuari dipende dall’idrodinamica locale;
- le correnti oceaniche, le maree e le onde possono trasportare le microplastiche nell’oceano a centinaia di chilometri di distanza dagli estuari nel giro di pochi mesi;
- tutte le specie acquatiche presenti negli ambienti estuarini e in quelli adiacenti sono in qualche misura contaminate da microplastiche;
- le microplastiche rappresentano una minaccia per i sistemi di barriera corallina;
- i filtratori possono rimuovere efficacemente le microplastiche dall’acqua di mare;
- il polietilene a bassa densità (LDPE) è uno dei tipi più comuni di microplastica presenti negli estuari e nell’ambiente Marino;
- l’inquinamento da nanoplastica rappresenta un grave rischio per gli organismi acquatici.