Bioraffineria: una pratica dietro cui si cela la ricerca di soluzioni sostenibili per gli scarti organici agroindustriali, da trasformare in prodotti utili in agricoltura quali biostimolanti o biopesticidi.
Un processo che passa attraverso la loro fermentazione in stato solido tramite funghi, studiato dalla Piattaforma di microbiologia agroalimentare e ambientale (PiMiAA) nel laboratorio di Patologia vegetale all’Università degli Studi di Brescia guidato da Emanuela Gobbi.
“Di scarti agroalimentari se ne producono tonnellate all’anno – spiega Gobbi – e lo spargimento nei campi non è sempre sostenibile. Molti scarti contengono composti chimici poco benefici, come i polifenoli, che hanno attività antimicrobica e possono danneggiare suolo e piante”.
Ecco allora i funghi: “La bioraffineria fungina è un sistema che utilizza microorganismi del regno dei funghi – chiarisce Gobbi – che digeriscono il proprio nutrimento all’esterno, che noi raccogliamo. L’uso di questi funghi è fatto in stato solido, senza acqua, e ciò significa un grosso risparmio. Si usano scarti organici di qualsiasi tipo: alla fine, con il fungo che l’ha prodotta, rimane una massa fermentata che può essere immesso nei campi in maggiore quantità. Se il fungo è benefico entra in interazione con le piante e ne promuove crescita e difesa”. Una ricerca inaugurata prima del Covid, con diversi progetti in corso.
Uno è appunto TrichEco, ricerca biennale sul fungo biostimolante Trichoderma e sul suo ecosistema microbico: “Da quarant’anni viene utilizzato come biostimolante – spiega Peron, responsabile scientifico del progetto – e scopo del nostro progetto è produrlo tramite la fermentazione a stato solido da scarti agroalimentari. I prodotti che otterremo li testeremo in vitro e in serra su piante di pomodoro e rucola per vedere se i nostri biostimolanti possano portare ad ottenere frutti più nutrienti e con una popolazione microbica più salutare”.
Un atro progetto è RiAPro, a cui collabora anche il Dipartimento di ingegneria: qui gli scarti agroalimentari sono la matrice da cui ottenere, sempre tramite fermentazione a stato solido, funghi benefici e biopesticidi per il pomodoro. “Nell’ultimo anno sarà sviluppato un prototipo di media scala – dice Gobbi – e abbiamo ottenuto il finanziamento perché abbiamo dato dati preliminari incoraggianti”.
Infine, lo studio di Trichoderma ha applicazione anche in un progetto internazionale, BioAct, con capofila l’Università di Torino e al quale la Statale di Brescia partecipa con altri atenei: lo scopo è trovare pratiche che migliorino la resilienza ai cambiamenti climatici degli ecosistemi agricoli del Mediterraneo, in particolare della coltivazione del frumento.
Categorie: News, Sostenibilità
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