La direttiva europea sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio ha fissato obiettivi di riciclaggio della plastica al 50% entro il 2025 e al 55% entro il 2030. Inoltre, è stato emanato il piano d’azione sull’economia circolare per incoraggiare il riciclo, con una forte attenzione ai rifiuti di plastica, e per prevenire e ridurre l’impatto sull’ambiente dei prodotti di plastica monouso.
Nonostante questo, secondo i dati riportati nel rapporto 2022 di Plastics Europe, la produzione di plastica a livello mondiale è risultata in costante crescita fino al 2019 con un quantitativo pari a circa 368 milioni di tonnellate. La maggior parte di questa plastica è utilizzata per la realizzazione di imballaggi monouso che, di conseguenza, si trasformano rapidamente in rifiuti; questi, infine, vengono spesso smaltiti in modo inadeguato, causando gravi problemi ambientali.
Secondo l’UNESCO, infatti, da 8 a 10 milioni di tonnellate di materiali plastici finiscono nell’oceano, costituendo fino all’80% del “marine litter”: la maggior parte si accumula sul fondo dell’oceano (70%), mentre il resto rimane sulle coste (15%) e sulla superficie dell’acqua (15%).
È fondamentale notare, infine, che oggi la raccolta e il riciclo meccanico della plastica recuperata nei mari e nelle spiagge risultano molto più complicati rispetto al trattamento dei rifiuti urbani, in quanto si tratta di materiali eterogenei composti da molti polimeri di forme e dimensioni differenti; questi, poi, possono contenere una quantità considerevole di sabbia, sale, conchiglie o alghe e subiscono spesso differenti processi di degradazione, come quello foto-ossidativo ad opera della radiazione solare.
È in questo scenario che si inserisce un innovativo processo che consente di convertire oltre il 90% della plastica recuperata in mare e nelle spiagge in un nuovo “petrolio”, da impiegare come combustibile o per la produzione di nuovi materiali (plastiche, vernici, solventi e altri composti organici).
Il processo è stato messo a punto da un team di ricercatori Enea nell’ambito del progetto europeo interregionale Italia-Croazia “NETWAP” sulla riduzione e la gestione innovativa dei rifiuti.
“Abbiamo sottoposto campioni di plastica raccolta in mare a un particolare trattamento termo-chimico chiamato pirolisi – spiega Riccardo Tuffi, ricercatore Enea – che consente di decomporre, a una temperatura oltre i 400 °C e in assenza di ossigeno, il materiale plastico di partenza in olio e gas ricchi di idrocarburi, potenzialmente sfruttabili per la produzione di nuovi combustibili e prodotti chimici. Per migliorarne ulteriormente resa e qualità abbiamo utilizzato un catalizzatore, ricavato a sua volta dalla lavorazione di un materiale di scarto, ovvero le ceneri prodotte dagli impianti di gassificazione e di combustione del carbone. Si tratta di un rifiuto industriale la cui produzione mondiale annua ammonta a circa 1 miliardo di tonnellate; è considerato una potenziale causa di inquinamento ambientale mentre il suo utilizzo per la sintesi di catalizzatori potrebbe rappresentare un passo verso la sostenibilità dei processi produttivi”.
Il campione di plastica in oggetto è stato convertito in idrocarburi di grande valore economico (circa l’87% in olio leggero e l’8% in gas) e i gas prodotti durante il trattamento termo-chimico si sono dimostrati più che sufficienti a sostenere il fabbisogno di energetico del processo (450 °C).
“Il riciclo meccanico è una sfida ardua – conclude Tuffi – mentre la pirolisi catalitica può essere considerata una delle opzioni più valide per il trattamento della plastica marina perché è in grado di gestire grandi quantità di rifiuti altamente eterogenei e non pretrattati. Nel prossimo futuro, piccoli impianti di pirolisi installati nei porti potrebbero addirittura produrre carburante per le imbarcazioni a partire proprio dalla plastica recuperata in mare”.
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