Un efficace metodo per contrastare la grave siccità che sta colpendo l’Italia sarebbe quello di avvalersi di tecnologie consolidate in grado di “produrre” acque e mitigare la sete dei territori. Tra queste vi è la “desalinizzazione”, un processo che consente di rendere potabile l’acqua del mare.
Nel nostro Paese, però, tale metodologia non sembra essere ancora la favorita; anzi, gli interventi del Governo per contrastare questo fenomeno sono orientati prevalentemente su misure di water saving e di efficientamento delle infrastrutture idriche.
L’Italia presenta caratteristiche adatte per lo sviluppo della desalinizzazione, grazie alle numerose aree soggette a scarsità cronica di acqua e a una delle linee costiere più grandi al mondo.
Nelle isole, inoltre, il processo in loco sarebbe molto più conveniente, in termini economici, rispetto al trasporto: il costo dell’acqua desalinizzata, infatti, si aggira intorno ai 2/3 euro per metro cubo, mentre lo stesso quantitativo di acqua trasportata via nave può arrivare a circa 13/14 euro.
Per questo motivo, molte isole, soprattutto in Sicilia, Toscana e Lazio, hanno già iniziato a dotarsi di impianti di questo tipo.
Oggi tale processo è utilizzato, nel mondo, da 183 Paesi che contano complessivamente 16.000 impianti, per una capacità totale di oltre 78 milioni di metri cubi al giorno.
In Europa, sono soprattutto i Paesi del Mediterraneo a mostrarsi interessati alla desalinizzazione: a questo proposito, per esempio, nel corso del 2021 risultano installati in Spagna circa 765 impianti, di media e grande taglia.
Dal punto di vista energetico, la desalinizzazione offre forti sinergie con le rinnovabili: le zone aride, dove i dissalatori sono maggiormente utilizzati, sono anche quelle con il maggior irraggiamento solare e, di conseguenza, le più adatte al fotovoltaico.
L’unione tra impianti di dissalazione, generazione solare, eolica, CSP e termoelettrica permetterebbe di limitare le emissioni e ridurre i costi dell’energia.