I Politecnici di Milano e Torino e le Universita’ di Trento e Roma Tor Vergata, per conto di Utilitalia, hanno condotto uno studio relativo all’incenerimento dei rifiuti urbani e pubblicato il Libro Bianco sul tema.
Dai dati ottenuti e’ emerso il ruolo fondamentale degli impianti di incenerimento nel campo dell’economia circolare: questi, infatti, hanno impatti minimi sulla qualita’ dell’aria e forniscono un importante contributo nella lotta al cambiamento climatico.
Le difficolta’ riscontrate dal settore negli ultimi mesi (legate anche all’emergenza Covid-19), pero’, hanno reso evidente la necessita’ di adottare soluzioni strutturali per scongiurare nuove possibili crisi nel prossimo futuro.
Attualmente in Italia sono attivi 37 inceneritori: nel 2019, al loro interno, sono state trattate 5,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e rifiuti speciali da urbani, producendo 4,6 milioni di MWh di energia elettrica e 2,2 milioni di MWh di energia termica.
Nel nostro Paese, soprattutto al Centro e al Sud, si registra, pero’, una carenza impiantistica rispetto al resto dell’Unione Europea: in Germania, per esempio, sono attivi 96 inceneritori e in Francia ben 126.
Questa tendenza richiede necessariamente di essere invertita, altrimenti continuera’ il ricorso eccessivo allo smaltimento in discarica, attualmente attestato al 20 percento, e non sara’ possibile chiudere il ciclo dei rifiuti; la raccolta differenziata e il riciclo, infatti, producono scarti che necessitano di essere smaltiti nella maniera ambientalmente piu’ corretta.
Il Libro bianco, inoltre, evidenzia che, in termini di emissioni climalteranti, la discarica ha un impatto 8 volte superiore a quello del recupero energetico negli inceneritori: diversi flussi di rifiuti, quindi, se non recuperati energeticamente, hanno come alternativa il solo smaltimento in discarica.
In aggiunta, e’ necessario considerare che gli inceneritori hanno limiti molto stringenti alle emissioni, che non hanno eguali nel panorama delle istallazioni industriali.
Relativamente alle PM10 lo studio evidenzia che il contributo degli inceneritori e’ pari allo 0,03 percento (a fronte del 53,8 percento delle combustioni commerciali e residenziali), per gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e’ pari allo 0.007 percento (contro il 78,1 percento delle combustioni residenziali e commerciali) e per diossine e furani si attesta allo 0,2 percento (contro il 37,5 percento).
L’85 percento delle ceneri pesanti prodotte dalla combustione, inoltre, sono ormai totalmente avviate a processi di riciclaggio, con ulteriori miglioramenti degli impatti ambientali rispetto all’utilizzo delle materie vergini in attivita’ quali la produzione di cemento e la realizzazione di sottofondi stradali.
La seconda parte della ricerca e’ dedicata all’analisi di studi epidemiologici condotti in diverse aree del pianeta in cui sono presenti inceneritori.
Per gli impianti rispondenti alle “Best available techniques” (Bat) emerge come gli inceneritori non si possono considerare fattori di rischio di cancro o di effetti negativi sulla riproduzione e sullo sviluppo umano.
I livelli di emissione degli impianti di ultima generazione, inoltre, sono nettamente inferiori rispetto a quelli di impianti operanti in territori in cui sono stati individuate associazioni negative in termini di salute.
Gli studi sulla valutazione del rischio hanno dimostrato che la maggior parte dell’esposizione e’ prodotta dalle abitudini alimentari delle persone e non dall’esposizione diretta alle emissioni; il rilievo dei livelli di diossina riscontrabili nella popolazione residente in ambienti prossimi agli impianti di incenerimento, infatti, non ha evidenziato livelli superiori rispetto a quelli riscontrabili in una popolazione che vive in aree non interessate dalla presenza di questi impianti.