Il riutilizzo delle acque reflue è un tema sempre più attuale legato alla carenza idrica nonché ai cambiamenti climatici che stanno interessando ormai tutti i territori a livello mondiale. L’acqua è un bene non inesauribile e fondamentale per la vita, pertanto è molto importante sfruttare in maniera sostenibile gli scarichi idrici opportunamente trattati e depurati. In Italia circa il 60 percento dell’acqua è utilizzato in agricoltura, il 25 percento è utilizzato dal settore energetico e industriale, mentre il 15 percento è destinato agli usi umani e domestici (lavarsi, cucinare, ecc.).
A livello nazionale la normativa di riferimento per il riutilizzo delle acque reflue è il D.M. n. 185 del 12/6/2003 ed il successivo decreto del 2/5/2006, contenente le norme tecniche per il riutilizzo dei reflui domestici, urbani e industriali. Le norme volte a favorire riciclo e riutilizzo delle acque reflue depurate sono di competenza delle Regioni. Il riutilizzo è disciplinato, previo recupero, per le destinazioni d’uso elencate nell’art.3 dei decreti: irriguo, civile e industriale.
Purtroppo, il riutilizzo risulta a volte una pratica complessa a causa di problematiche di natura infrastrutturale (difficoltà tecniche per trasferimento risorse idriche), economica (elevati costi di trattamento rispetto al costo delle risorse idriche convenzionali) e sanitaria (parametri batteriologici e composizione ionica non idonea ad alcuni tipi di riutilizzo); ma recentemente, soprattutto a causa del fatto che i costi dell’acqua sono in salita, molte aziende pensano al riutilizzo.
La normativa italiana riporta in allegato ai decreti citati i requisiti minimi di qualità delle acque reflue recuperate all’uscita dell’impianto di trattamento. Viene poi demandato alle Regioni di stabilire per ogni zona omogenea del proprio territorio i parametri per i quali è obbligatorio effettuare il controllo e il monitoraggio, fissando i limiti dei medesimi nel rispetto del decreto. Inoltre, per i parametri chimico-fisici per cui non sono forniti limiti o valori guida, le Regioni possono prevedere, sulla base di consolidate conoscenze acquisite per i diversi usi e modalità di riutilizzo a cui le acque reflue sono destinate, limiti diversi da quelli previsti nella tabella dell’allegato, purché non superiori ai limiti per lo scarico in acque superficiali di cui alla Tab.3 dell’All.5 della Parte III del D.Lgs n.152/2006, previo parere del Ministero dell’Ambiente.
Relativamente ai requisiti di qualità che devono possedere le acque suscettibili di riuso irriguo, la normativa italiana mantiene un atteggiamento cautelativo rispetto al quello più permissivo delle raccomandazioni, che sono fornite a livello internazionale da vari organi scientifici. Viene posta molta attenzione al parametro microbiologico per cui la tutela della salute dell’uomo è valutata definendo limiti particolarmente rigorosi. Nasce quindi la necessità di effettuare trattamenti di affinamento spinti per arrivare ai valori particolarmente restrittivi previsti dal DM 185/2003, confermati dal decreto del 2/5/2006.
Dal recupero delle acque piovane e domestiche a scopo irriguo, passando al recupero delle acque reflue per il riutilizzo nelle stesse lavorazioni industriali (ad es. nel settore tessile, alimentare, ecc.) occorre procedere con estrema cautela analizzando le caratteristiche delle acque e valutando i trattamenti più idonei per rispettare i limiti qualitativi imposti dalla normativa vigente, ponendo particolare attenzione al rapporto costi/benefici. A tal proposito, in base alle dimensioni dell’impianto e alla caratterizzazione delle acque da recuperare, potrebbe essere opportuno inizialmente installare un impianto su scala pilota, atto ad individuare la soluzione depurativa più corretta.
Gramaglia, con 40 anni di esperienza nel settore del trattamento acque, offre risposte tecnico-economiche specifiche in base alle esigenze dei clienti.