Lo smart working, o telelavoro, e’ una realta’ che si sta rapidamente affermando in moltissimi settori, e che con l’emergenza coronavirus e’ stato applicato su larga scala, seppur in modo approssimativo vista l’estemporaneita’.
Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, in Italia gli smart workers al pre Covid-19 erano circa 570.000, il 15 percento del totale dei lavoratori nazionali.
Si tratta, per lo piu’ di grandi imprese, in particolare quelle situate nel milanese: quasi il 50 percento di esse, infatti, ha in corso progetti strutturati per permettere ai dipendenti di lavorare da casa.
Per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione, invece, sono meno del 10 percento gli enti che hanno iniziato una sperimentazione in tal senso.
Nel resto del mondo, pero’, la situazione e’ un po’ diversa: il 70 percento dei lavoratori in Francia e Germania, infatti, reputano il lavoro da casa una cosa normale, mentre in Svezia, Islanda, Olanda e Lussemburgo piu’ del 20 percento dei lavoratori si considerano smart wrkers a tutti gli effetti.
Un fattore importante che bisogna considerare quando si parla di smart working e’ quello dell’inquinamento.
Nella sola Inghilterra, per esempio, grazie a questo meccanismo si risparmierebbero circa 8 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2030 e si eviterebbero 115 milioni di ore annue di spostamento casa/lavoro.
Negli Stati Uniti, invece, i numeri aumentano: si risparmierebbero 110 milioni di tonnellate di CO2 e 960 milioni di ore.
Secondo uno studio condotto da Enea, lo smart working riduce la congestione, i consumi energetici e, in generale, l’impatto ambientale degli spostamenti casa-lavoro sui sistemi urbani.